Le antiche cappelle | La nuova chiesa (1892-1897) | Il parco-giardino | Bibliografia
La chiesa dei Santi Michele Arcangelo e Nazario martire
(di Marco Cecchelli)
L’antica chiesa (sec. IX(?)-XIX)
Gaggio compare la prima volta nel 752, nel diploma di Astolfo, re dei Longobardi, nell’atto di donazione di questa e altre zone montane vicine, al cognato sant’Anselmo abate di Nonantola. E’ definito come Gaium reginae (Gisaltrude, moglie del re e sorella di Anselmo), termine latinizzato dal longobardo gahagi, indicante un terreno riservato, cioè appartenente al fisco regio, in molti casi donato dal re ad arimanni, cioè a uomini liberi longobardi, quale ricompensa per il servizio da loro prestato in difesa del regno.. La presenza longobarda nella zona di Gaggio è testimoniata inoltre da alcuni toponimi come La Gazzana (con la stessa origine di Gaggio), Masonte (da mansum, maso, dove nel 1911 si sono stati rinvenuti reperti archeologici di età longobarda), Romagnano e Ronchidoso (Runcus ducis), terreno disboscato di proprietà di un duca e altri).
L’origine della chiesa dunque, pare non separabile dalla presenza di nuclei abitati di questa popolazione germanica. Anche se non è possibile, in base alle conoscenze attuali, far risalire oltre l’XI secolo la costruzione di un edificio sacro, si può tuttavia ragionevolmente ipotizzare almeno la persistenza di un culto a san Michele di più antica data. Del resto, l’arcangelo era il patrono del popolo longobardo, che ne aveva favorito il culto e la sua diffusione in gran parte dell’Italia. Con la definitiva conquista di queste zone e il loro sfruttamento agricolo, si può così ipotizzare che forse già nell’VIII-IX secolo, sia stata eretta, se non proprio una chiesa, almeno un piccolo oratorio, o cappella (chiesa di villaggio) con dedica a san Michele.
Con l’aumento della popolazione si rese necessario, nei secoli XI-XII, un primo ampliamento (se non una vera e propria ricostruzione) dell’antico edificio, costruito in forme romaniche; ampliamenti che si succedettero nei secoli successivi, soprattutto nel Quattrocento, quando fu eretto il campanile e nei due secoli successivi: nel Cinquecento con la realizzazione delle cappelle laterali e con l’ampliamento, nel 1600, della zona absidale.Il fatto che l’intitolazione odierna della chiesa parrocchiale sia quella dei Santi Michele e Nazario, è data dall’unione della parrocchia di Gaggio a quella di San Lazzaro di Montilocco, situata sul versante est del monte Belvedere a più di 900 metri di quota. Anche qui, evidentemente si era costituto un nucleo abitativo consistente, se in un ristretto territorio come quello dell’attuale parrocchia, gli abitanti ritennero di dover costruire a proprie spese due distinti edifici di culto con relativo territorio parrocchiale autonomo. Di fatto, nel 1223, troviamo menzionati i due comuni di Gaggio e Montilocco.
Pur presente nell’elenco delle decime del 1300, insieme con San Michele di Gaggio, San Lazzaro di Montilocco nel giro poco più di un secolo rovinò a seguito della vasta frana che, nel Quattrocento, coinvolse Gaggio sino ai bordi del Sasso di Rocca; solo nel 1556, in occasione della visita pastorale del card. Lorenzo Campeggi, dato che ormai di San Lazzaro di Montilocco restavano solo i ruderi, fu emesso il decreto di unione delle due parrocchie a favore di Gaggio. Al titolo di San Michele si aggiunse così quello di San Lazzaro che, nel corso del tempo, si cambiò in Nazario.
Nonostante tutti gli sforzi profusi, la chiesa dei Santi Michele e Nazario a metà dell’Ottocento era ormai del tutto insufficiente a contenere la popolazione, via via cresciuta di numero. “Sin dal 1780, infatti, la chiesa per la struttura per forma e grandezza non corrispondeva alla qualità del luogo, e peggio doveva avvenire nel progresso del tempo, mentre da un lato s’accresceva la popolazione e dall’altro l’edificio della chiesa si riduceva a mal partito per l’umidità e la vecchiaia irrimediabile”, come scriverà don Emanuele Meotti, succeduto nel 1885 al parroco don Antonio Ramazzini in una sua nota. Era una costruzione tozza e robusta, lunga 26 metri, larga circa 8 e alta circa 11, orientata est-ovest; possedeva sette altari, sei dei quali contenuti in apposite cappelle, aggiunte nel corso del Cinquecento e tutti di giuspatronato di diverse famiglie gaggesi, tranne la cappella maggiore ampliata nel 1600.
Le antiche cappelle
Cappella maggiore: dedicata ai santi patroni Michele Arcangelo e Nazario martire, sede della Compagnia del Santissimo, fondata nel 1594, di giuspatronato della famiglia Tanari. A sinistra dell’ingresso: la cappella di sant’Antonio di Padova, dov’era collocato anche il Battistero, con una tela raffigurante I santi Antonio e Giovanni Battista (1558); l’altare dei santi Sebastiano e Rocco con la relativa pala raffigurante i due santi e di giuspatronato delle famiglie Zappoli e Tanari; la cappella dedicata alla B. V. della Cintura, dove aveva sede l’omonima confraternita fondata nel 1647, con la pala raffigurante La Trinità adorata da San Giovanni Battista, dalla Vergine e dai santi Agostino, Maddalena e Margherita, di giuspatronato della famiglia Martinelli. A destra della cappella maggiore: la cappella del Crocifisso o di Santa Croce, di patronato della famiglia Tanari, sede della Confraternita dell’Addolorata fondata nel 1671; la cappella dedicata alla Madonna del Rosario, dove aveva sede l’omonima Confraternita fondata nel 1606, di giuspatronato dei Tanari; infine la cappella dedicata a san Francesco d’Assisi e di giuspatronato della famiglia Baldi.
La nuova chiesa (1892-1897)
Fu per questo motivo che don Meotti decise di costruirne una nuova, cambiandone l’orientamento, spianando l’area antistante eliminando il vecchio cimitero e abbassandone notevolmente la quota, mentre il vecchio edificio verrà utilizzato, modificandolo in parte, come sagrestia. Ancora oggi è possibile vedere, sul lato est, l’abside romanica modificata nel 1600, dove sono visibili due monofore mentre, sul lato nord, sono ancora perfettamente visibili due delle cappelle laterali costruite nel Cinquecento.
Gli interventi, nel 1889 sul campanile, saranno il preludio alla nuova fabbrica della chiesa. “A distanza di tre anni vennero intraprese – infatti – le opere di abbattimento della parte anteriore dell’antica chiesa per lasciare spazio alla nuova, che presenterà la facciata verso sud, in corrispondenza dell’accesso al paese, in seguito organizzato con scenografiche scalee e la prospettiva a rampa, ornata da diverse sculture simboliche e didattiche. Tutte operazioni che recano l’impronta estetica e culturale del parroco Carlo Emanuele Meotti. Dal 1892 al 1897 il capomastro gaggese Giuseppe Pucci tradurrà in opera il progetto dell’architetto Vincenzo Brighenti. Il nuovo edificio, in un’epoca in cui l’architettura sacra prediligeva lo stile “revival” gotico o romanico, viene invece elaborata sulla scia della tradizione classica cinque-seicentesca bolognese, non ad unica navata ma a tre, delimitate da arcate con colonne e capitello di tipo ionico, cappelle laterali e senza transetto. Alla serena e luminosa spazialità interna – in seguito dotata di svariate decorazioni pittoriche – corrisponde all’esterno un’analoga distesa linearità di cui la facciata, a semplici modanature di arenaria al naturale su pareti intonacate e tinteggiate, costituisce il migliore paradigma. Questa parte si pone inoltre come esempio di perfetto inserimento in termini di tipologia nel contesto edilizio ed ambientale: la posizione elevata sul poggio roccioso, e a ridosso del sasso di Rocca, fa assumere al complesso parrocchiale di San Michele Arcangelo, con le sue architetture antiche e ottocentesche, il ruolo di vertice visivo e scenografico dell’intero centro abitato circostante, che ne viene particolarmente qualificato” (L. Samoggia). Sulla facciata spiccano le statue dei titolari in cemento opera di Nicola De Carli del 1911: a destra san Michele Arcangelo che calpesta il demonio, a sinistra san Nazario martire.
Il luglio 1997, l’arcivescovo di Bologna card. Domenico Svampa (grande stimatore di Meotti), consacrava la nuova chiesa, della quale restava da compiere il pavimento che sarà poi realizzato in marmo nel 1938 dal successore di Meotti don Oreste Marchi.
Il parco-giardino
Un elemento fondamentale del progetto ideato da mons. Meotti per il nuovo complesso della parrocchiale è il giardino che lo circonda. Fu concepito come “abitazione delle muse”, con i gruppi di alberi (notevole, al margine sinistro del lato sud una maestosa sequoia ormai più che secolare), boschetti, una piccola vasca: un ambiente, come ricorda il suo biografo don GB Trombelli, che doveva creare un’oasi di silenzio ed un’ombra amica in cui il prete Meotti raccoglievasi a meditare e a pregare e anche pensare”. Anche se oggi di quel parco delle muse non rimane che un debole ricordo, tuttavia l’area, circondata dal verde, in quale modo svolge ancora la sua funzione di ‘pausa’ e di ‘raccoglimento’. “Le panchine, la fontanella, il verde e l’ombra non sono che alcuni degli elementi importanti del fascino del luogo; di altrettanta e maggiore rilevanza è il messaggio iconografico predisposto tra le aiuole e lungo i percorsi viari per avere la sua logica conclusione sul sagrato.
Fino a [non moltissimo tempo fa], si potevano ancora scorgere, a sinistra tra gli alberi [nei gradoni sottostanti le case del Poggio, a destra del Sasso) i resti del gruppo scultoreo Ercole e il toro” (Samoggia). Più in basso, nel boschetto di abeti, c’è ancora il busto dell’agronomo bolognese Pietro de’ Crescenzi (Pier Crescenzi o Crescenzio, Bologna 1233-1320), considerato il maggior agronomo del Medioevo europeo. Ambedue opere di Pio Frasari ed seguite nel 1907, “Il gruppo di Ercole e il toro stava a suggerire la forza della virtù che combatte e vince l’istinto animale [le forze scatenate della natura], il busto di Pier Crescenzio doveva richiamare l’intelligente operosità dell’uomo che sa sfruttare e valorizzare la natura; la statua di Mercurio (anch’essa andata perduta) alludeva all’onesta intraprendenza del commercio come affermazione della ragione e dell’intelligenza.
E, infine, presso le porte della chiesa le incombenti figure dei Leoni – simbolo di potenza, giustizia e vittoria ma anche di vigilanza – costituiscono un messaggio ed una sensazione forti rivolti a chiunque stia per entrare nell’area sacra” (Samoggia).
Bibliografia
M. CECCHELLI-L. SAMOGGIA, Antiche pietre. Il complesso parrocchiale dei Santi Michele e Nazario in Gaggio Montano a cento anni dalla ricostruzione (1892-1992), “I quaderni di Gente di Gaggio”, supplemento al n. 8 di “Gente di Gaggio”, Gaggio Montano 1003, pp. 112, ill.
P. FOSCHI, Insediamenti, economia, vie di comunicazione a Gaggio Montano nel Medioevo, in Gaggio Montano. Storia di un territorio e della sua gente, Gaggio Montano 2008, vol. I, pp. 47-98; R. ZAGNONI, Le chiese di Gaggio nel Medioevo, ibidem, pp. 99-152; M. CECCHELLI, Aspetti e momenti di vita sociale e religiosa delle comunità tra il Silla e il Marano in età moderna, pp. 153-204; L. SAMOGGIA, Gli edifici di culto e civili, ibidem vol. II, pp. 647-678.
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